Impatto sulla salute

Il Progetto VIIAS ha fornito una stima del numero di decessi attribuibili all’inquinamento atmosferico in Italia e, per il Pm2,5, ha quantificato i mesi di vita persi all'anno di riferimento 2005 e quelli guadagnati nei diversi scenari futuri.

Gli inquinanti oggetto di studio - il particolato atmosferico, soprattutto la sua frazione fine, il PM2,5, il biossido di azoto (NO2) e l’ozono (O3) - sono associati a effetti quali l’aumento di sintomi respiratori, l’aggravamento di patologie croniche cardiorespiratorie, il tumore polmonare, l’aumento della mortalità e la riduzione della speranza di vita.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che l’inquinamento atmosferico ambientale causi nel mondo circa 3,7 milioni di decessi (800.000 solo in Europa) e il 3% della mortalità cardiorespiratoria. In un recente processo di revisione della letteratura scientifica sui principali inquinanti, l’OMS ha raccomandato all'Unione Europea politiche urgenti di contenimento delle emissioni e standard di qualità dell’aria più stringenti. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha recentemente stabilito  che esistono prove sufficienti della cancerogenicità dell’inquinamento dell'aria e che il particolato atmosferico (PM10 e PM2.5) è causa del cancro del polmone.

La mortalità legata al PM2,5

Nel 2005, anno di riferimento, sono risultati attribuibili all’esposizione della popolazione al PM2.5 34.552 decessi (il 7% della mortalità per cause naturali osservata in Italia), su 527.193 complessivi in tutta Italia, su una popolazione al di sopra dei 30 anni stimata in 40.077.488 individui. Di questi il 65% (pari a 22.485 decessi) sono stati stimati tra i residenti del Nord. Il tasso di mortalità più alto si è avuto in Lombardia: 164 ogni 100.000 residenti.

 

Analizzando la mortalità causa specifica sono stati stimati 19.945 decessi per patologie cardiovascolari, 3.197 decessi per malattie dell’apparato respiratorio e 2.938 per tumore polmonare. Al Nord si muore di più che nel resto d'Italia a causa del particolato fine, sia per patologie cardiovascolari (oltre 12.600 casi) sia per malattie dell'apparato respiratorio (2.112 casi) e tumore ai polmoni (1.935 casi).

 

Inoltre, il progetto ha stimato 12.400 nuovi casi di eventi coronarici (infarto e angina grave) attribuibili all’esposizione a PM2.5.

A causa di questa esposizione, ogni persona residente in Italia subisce una perdita di 9,7 mesi di vita (14 mesi al Nord, 6,6 al Centro e 5,7 al Sud e isole). Nei residenti nei centri urbani questa perdita è pari a 1 anno e 5 mesi. Il grafico che segue mette in evidenza la correlazione tra livello di esposizione e mesi di vita persi.

 

Lo scenario 2020 CLE stima un guadagno rispetto al 2005 pari a circa 6.000 decessi anno; questo guadagno è maggiore per target 1 (rispetto dei limiti di qualità dell’aria), pari a circa 11.000 decessi. L’applicazione del target 2 (riduzione del 20% delle concentrazioni di PM2.5 stimate al 2020) farebbe risparmiare 16.000 decessi rispetto a quanto stimato per il 2005.

L’impatto sanitario dell’inquinamento da PM2.5 nel 2010 si riduce in maniera proporzionale alla riduzione delle concentrazioni e della esposizione media di popolazione. In particolare, a causa della riduzioni nelle emissioni conseguenti alla crisi economica nel 2010 si è già avuto un risparmio di circa 13.000 decessi rispetto al 2005. Un guadagno sanitario importante si potrebbe ottenere solo con il raggiungimento del target 2 (riduzione del 20% delle concentrazioni) che farebbe risparmiare ulteriori 3.000 decessi all’anno.

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La mortalità legata al biossido di azoto

Nel 2005, sono stati attribuibili al biossido di azoto 23.387 decessi su 527.193 complessivi in tutta Italia, su una popolazione al di sopra dei 30 anni stimata in 40.077.488 individui. Dal punto di vista geografico, al Nord si muore di più a causa del NO2 (14.008) rispetto al Sud e alle Isole (4.403) e al Centro (4.977), mentre prendendo in considerazione gli ambienti di vita si nota una maggiore mortalità nelle aree urbane (16.736) rispetto a quelle non urbane (6.651). Il tasso di mortalità più alto si è registrato ancora una volta in Lombardia: 127 decessi ogni 100.000 residenti.

 

Nel 2020 (CLe) il numero di decessi si dimezza (10.117) rispetto a quanto stimato per il 2005, si riduce ulteriormente con il target 1 (9.021 decessi), il raggiungimento del target 2 comporterebbe infine l’ulteriore dimezzamento della quota di decessi attribuibili ad esposizione a NO2 (5.267).

 

 

L’impatto sanitario dell’inquinamento da NO2 nel 2010 si riduce in maniera proporzionale alla riduzione delle concentrazioni e della esposizione media di popolazione. In particolare, a causa della riduzioni nelle emissioni conseguenti alla crisi economica nel 2010 si è già avuto un risparmio di circa 11.000 decessi rispetto al 2005. Lo scenario 2020 CLe stima un ulteriore risparmio di 1900  decessi sulle stime 2010, mentre l’applicazione dei limiti previsti dalla legislazione EU (target 1) aggiungerebbe a questo un ulteriore risparmio di 1096 decessi. Il guadagno più rilevante in termini di salute si otterrebbe con il raggiungimento del target 2 che vedrebbe un ulteriore risparmio medio di 3.774 decessi, riducendo fino a meno di un quarto i decessi attribuibili all’NO2 nel 2005.

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La mortalità legata all'ozono

Nel 2005, su 36.000 decessi per patologie a carico dell’apparato respiratorio, 1.707 sono risultati attribuibili all’esposizione a ozono nel periodo caldo (aprile-settembre); di questi, il 52% (882 decessi) si sono osservati tra i residenti al Nord. Il tasso di mortalità è abbastanza uniforme: il più alto, 6 decessi ogni 100.000 residenti, è stato registrato in Liguria.

 

Nel 2010 si stimano 151 ulteriori decessi per questa patologia (+8.8%) mentre lo scenario 2020 (CLe) stima un netto risparmio (-22.7%), con 387 decessi in meno rispetto all’anno di riferimento 2005.